12 mar 2024
Franco Basaglia e l'abolizione dei manicomi psichiatrici
Il 13 maggio 1978 il parlamento italiano aboliva i manicomi psichiatrici. Primo paese al mondo a prendere una decisione del genere. La legge 180 arrivò dopo un complesso dibattito culturale e parlamentare dove il movimento antipsichiatrico era cresciuto intrecciandosi con le rivendicazioni degli altri movimenti sociali animati da forti spinte innovatrici e liberatrici. La decisione fu accelerata dall’incombere del referendum promosso dal partito radicale e venne integrata nel dicembre successivo all’interno della legge che istituiva il sistema sanitario nazionale. Conosciuta anche come legge Basaglia dal nome dello psichiatra Franco Basaglia, nonostante questi fosse contrario alla presenza del trattamento sanitario obbligatorio previsto dalla nuova normativa, è forse l’istituto più rivoluzionario varato nella storia della repubblica italiana per la portata concreta che ebbe sulla realtà del Paese e il significato gravido di potenza simbolica che conteneva.
Gli asili psichiatrici erano dei veri e propri lager, luoghi di sofferenza, emarginazione, violenza, torture, sevizie, come avevano testimoniato nel 1969 Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin nella loro inchiesta fotografica, Morire di classe. La condizione manicomiale. Il rifiuto dell’internamento e della segregazione erano per Basaglia il presupposto del riconoscimento che il «matto» non era un deviante, un soggetto da cui la società doveva difendersi e che per questo andava internato e nascosto, ma una persona la cui sofferenza mentale doveva essere tutelata, ascoltata, compresa, accompagnata, requisiti fondamentali della cura. Questa nuova consapevolezza procedeva di pari passo con il rifiuto globale dell’internamento e della segregazione, ovunque si manifestasse, in tutti i luoghi e forme di istituzione totale e concentrazionaria, in primis il carcere e la fabbrica disciplinare. Forse non è un caso se a metà di quel decennio, il 1975, si raggiunge in Italia il più basso numero di detenuti rinchiusi nelle prigioni. Basaglia aveva già sperimentato con alcuni anni di anticipo, prima a Gorizia e poi a Trieste, la chiusura degli asili manicomiali. I reparti erano stati aperti, ai pazienti erano stati restituiti i loro diritti fondamentali, le rigide divisioni di genere abolite (portando i pazienti a vivere in intimità). L’ospedale diviso in settori (corrispondenti a diverse zone della città e provincia), soprattutto furono create delle cooperative per consentire ai pazienti di vivere una vita autonoma, di costruire la propria indipendenza e socialità. All’abolizione del manicomio dovevano subentrare delle vere e proprie comunità terapeutiche. Con il raffreddamento delle spinte di cambiamento, la riproposizione dei vecchi modelli di società disciplinare, anche la legge 180 ha subito un freno, soprattutto il carcere ha ripreso il posto dei vecchi asili psichiatrici. Nonostante ciò, l’antipsichiatria è stato il movimento che più di ogni altro è riuscito a incrinare i dispositivi di stigmatizzazione sociale, lasciando dietro di sé una eredità feconda su cui è potuta crescere la cultura della inclusività, la rivendicazione delle differenze, quel diritto di vivere ognuno a modo suo che ha animato i movimenti di liberazione delle donne, omosessuali, lgbt, queer, disabili e oggi la cultura della intersezionalità.