14 gen 2024
Il «mito dell’inclusione» avrebbe creato una scuola «troppo indulgente e lassista». L’apertura ai disabili e ai bisogni educativi speciali avrebbe creato una zavorra democratica che rallenterebbe i «normali». Privileggiando l’accesso universale e il diritto alla riuscita scolastica di ognuno si sarebbe danneggiato il merito di pochi
di Paolo Persichetti
Nella sua rubrica settimanale presente sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia ha scagliato una invettiva contro la scuola dell’inclusione. L’occasione gli è stata fornita da un libro appena uscito, La scuola esigente, Rubettino, scritto da Giorgio Ragazzini, esponente del «gruppo di Firenze» che per obiettivo ha «la rivalutazione del merito, della responsabilità, del rispetto delle regole come cornice indispensabile per la vita della scuola».
Ragazzini prende di mira quella che definisce la «scuola indulgente» che suona come carente, inadeguata, insufficiente, scarsa, fallimentare. Secondo l’autore negli ultimi decenni l’istituzione scolastica sarebbe stata travolta da una crisi profonda tanto da smarrire quella che definisce la «nostra eredità culturale».
La conseguenza avrebbe portato gli alunni e gli studenti a non sapere più esprimersi, osservare e pensare. La causa di tutto ciò sarebbe da addebitare molto semplicemente a una crisi dell’educazione e dell’autorità non a dinamiche più complesse e globali, come – per esempio – il salto tecnologico-cognitivo dovuto all’avvento della società digitale, alla società dell’immagine, all’accesso simultaneo a input e informazioni che sovrastano la vecchia società della scrittura con tempi comunicativi velocissimi rispetto al passato che interferiscono sulla concentrazione e l’attenzione e rappresentano una nuova sfida per l’educazione e l’insegnamento.
La scuola della discriminazione
Teorie pedagogiche fautrici di visioni eccessivamente lassiste – afferma Ragazzini – avrebbero prodotto questo disastro. La soluzione indicata sarebbe il ripristino dell’ordine, dell’autorità, dell’impegno e del merito, una pedagogia da caserma con docenti-sergenti che rinvia a slogan che celano l’odio pre-sessantottino per la scuola di massa, per il diritto universale all’istruzione e allo studio in nome di un progetto altrettanto arcaico che rimanda alle società censitarie, dove la scuola non era per tutti.
Cogliendo al volo l’occasione fornitagli dai contenuti del testo, Galli della Loggia nella sua breve recensione attacca quello che chiama il «mito della inclusione» e che – lascia intendere – sarebbe solo una zavorra democratica che impedirebbe ai «normali», intesi come ottimi, migliori, i predestinati al successo nelle discipline del sapere, della politica, dell’economia e del governo, di avanzare celermente poiché costretti a convivere «anche con ragazzi disabili gravi con il loro insegnate personale di sostegno (perlopiù a digiuno di ogni nozione circa la loro disabilità), poi ragazzi con i Bes (Bisogni educativi speciali: dislessici, discografici, oggi cresciuti a vista d’occhio anche per insistenza delle famiglie)», senza dimenticare «sempre più numerosi, ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola d’italiano». Il risultato – chiosa- «lo conosciamo».
La scuola di tutti è per tutti
Quello che noi certamente sappiamo – diversamente da Galli della Loggia – è la forza e l’arricchimento di quelle società che hanno usufruito nella loro storia, anche tormentata, delle varie ondate migratorie. Ciò che manca alla scuola dell’inclusione è il fatto che ci sia ancora troppo poca scuola dell'inclusione per mancanza di risorse, di formazione, di investimenti.
Il limite è dato dalla resistenza di culture discriminatorie che si mostrano indifferenti o peggio ostili all’idea di un diritto allo studio universale, per tutti e per ciascuno (per altro previsto dal dettato costituzionale), dunque anche per gli alunni e le alunne che hanno bisogni speciali ma non per questo sono inferiori o diverse. L'enorme crescita numerica dei Bes e Pdp è dovuta alle nuove conoscenze mediche e scientifiche in grado oggi di individuare dei deficit in passato ignorati o addirittura sanzionati. Contrariamente a quel che sostiene della Loggia, chi vive il mondo della scuola sa bene come la classe docente debba spesso insistere con le famiglie che il più delle volte non vogliono accettare le diagnosi sui loro figli perché percepiscono ancora i Pdp come degradanti.
Permangono diversità e discriminazioni profonde. L’inclusione benché sancita dalla costituzione e da un apparato di norme non trova applicazione uniforme e le parole di Galli della loggia, come i recenti tagli del governo Meloni sulla disabilità, ci fanno capire che nuovi ostacoli si palesano all’orizzonte, avanza un fronte che senza vergogna teorizza il ritorno ad una società classista, discriminatoria e razzista.